HOLLYWOOD BABILONIA
di Kenneth Anger
- In questo libro, che Susan Sontag ha definito «leggendario come ciò di
cui parla», Kenneth Anger si è rivelato il primo adeguato
chroniqueur,
il più felice e amaro favolista del mondo di Hollywood. Con tocco
sicuro, da grande maniaco del cinema, Anger ci fa constatare come gli
scandali, i pettegolezzi, i suicidi, gli amori, le morti sospette, le
perversità, i trionfi, i delitti e gli imbrogli avessero un altro colore
a Hollywood: quei fatti sordidi e scintillanti andavano infatti subito a
disporsi tra le vaste costellazioni dello star system, le loro oscurità
nutrivano la luce irreale dello schermo. «Più stelle che in cielo» era
un motto della Metro Goldwyn Mayer. Oggi, dopo decenni in cui lo star
system è stato additato come macchina di depravazione commerciale e di
svendita dell’arte al dollaro, cominciamo finalmente a intenderlo alla
lettera: sistema di miti, orbite di astri, varianti e ripetizioni
inesauribili di Storie e Figure Esemplari. In fondo, l’unico grande
sistema mitologico che il nostro tempo abbia saputo offrirci. E, guidati
da Kenneth Anger, qui ci avviciniamo al mito di Hollywood con lo
spirito che gli è più congeniale: quello di Laforgue, dove la devozione
si congiunge al sarcasmo e la parodia non si pone alla fine dei tempi ma
alla loro origine. La Babilonia di gesso che Griffith fece costruire
nel 1915 per accogliervi centinaia di comparse, e poco tempo dopo era un
cimitero di relitti e di erbacce, è il
luogo perenne del cinema,
e da questo punto – soglia dell’Epoca dei Dubbi Splendori, quando
Hollywood appariva a un osservatore attendibile come Aleister Crowley
abitata da «una banda di maniaci sessuali pazzi di droga» – giustamente
muove il racconto di Anger. Fatty e Hearst, Chaplin e Valentino, von
Stroheim e Mae West, Errol Flynn e Marlene Dietrich, Lupe Velez e Robert
Mitchum, Lana Turner e Judy Garland, e tanti nomi ormai sepolti,
sfilano tutti davanti a noi, fra episodi atroci e dettagli oltraggiosi,
in immagini della loro vita intima che si mescoleranno per sempre a
quelle delle loro opere.
Perché è appunto una caratteristica del sistema di Hollywood quella di essere onnivoro:
tutto ciò che riguarda i suoi personaggi gli appartiene,
tutto
fa parte della sua scena, le gonnelline di Shirley Temple come
l’epidemia di suicidi con il Seconal. Alla fine, si ha addirittura il
sospetto che le ragioni commerciali stesse siano il pretesto per una
grandiosa e involontaria applicazione dell’
art pour l’art. Così, anche
Hollywood Babilonia
fa parte del cinema di Hollywood: al termine di queste pagine, dove il
testo vive dentro le immagini e le immagini dentro il testo, dove nessun
particolare è superfluo e tutti hanno un loro cupo smalto, come in un
von Stroheim di ambiente californiano, potremmo dire di aver visto il
cinema raccontare se stesso in un grande
film nero.