LA BARACCA UMANA
di Michael Serye
- Il temporale avanzava inesorabile, CECILIA dal ponte della barca lo aveva capito,
lo vedeva ingrandirsi sempre di più sull’orizzonte di prua, e loro puntavano proprio lì. Cecilia sapeva che stava andando contro la tempesta ma non osava dire parola o ribellarsi a Filippo, sapeva che era meglio non contestarlo e che era meglio lasciarlo stare, lasciarlo fare. FILIPPO era suo marito e lei gli voleva bene, questo era tutto. Punto. Per non pensare alla bufera si girò a guardare alle sue spalle, verso terra c’era un inevitabile tramonto e una piccola baracca abbandonata sul bordo del mare, al limite ultimo della terra di nessuno:
LA BARACCA UMANA
Al suo interno tre solitudini a illuminazione propria, riflessi del proprio specchio, asceti impazziti o illuminati eremiti; “Dei” solo di se stessi, costretti a convivere e a confrontarsi tra loro e con il mare, in una baracca di due metri per uno, fino al termine della pioggia o della notte, respirando l’altrui respiro, stringendosi l’isolamento fino allo sfinimento, fino all’altrui confine, l’altrui limite: il proprio riflesso.
GIULIA
assaporava ogni istante come l’unico, dopo anni di ragionamenti vi era giunta: il presente. Era stato un lavoro certosino il suo, non è per niente facile distinguere nettamente il tempo nel suo scorrere, riuscire ad affettare l’istante appena passato e spostarlo tutto, in blocco, subito, nella dimenticanza. Giulia ci era riuscita: ogni istante che scivolava alle sue spalle spariva, non esisteva più, si disintegrava in lei. Le rimaneva il presente, e quello non se lo faceva sfuggire, lo assaporava come il dissetarsi. Nessuno però riusciva a comprenderla, tanto valeva lasciare perdere, lasciare che l’intorno si allontanasse e l’istante dopo non esisteva già più. C’era solo lei, non aveva bisogno degli altri, le rimaneva il mondo.
MARCO
aveva girato, visitato e vissuto in mezzo pianeta, cercando la strada che porta al Nirvana, ma ovunque aveva trovato solo stupidità e ipocrisia. Era inutile, non esisteva un umano sano, a parte lui. Esasperato dai difetti altrui perdeva la pazienza con una facilità disarmante. Arreso aveva allontanato praticamente tutti. Non aveva bisogno degli altri.
NICOLA
era conscio di come diventava succube se si invaghiva di una donna; per lui l’amore era un sacrificarsi, un annullarsi al cospetto dell’altro. Inevitabilmente, nel gioco della bilancia, concedeva il fianco, si arrendeva ai pesi e ai desideri altrui. Troppe se ne erano approfittate. Stanco di soffrire doveva tutelarsi. Concluse che il modo più sicuro per vivere tranquillo era non darsi la possibilità di amare, ignorando il mondo femminile, anzi, per sicurezza, ignorando l’intero genere umano. Nicola era giunto oltre il ricordo del ricordo, in un isolato equilibrio non aveva bisogno degli altri.
La tempesta era appena cominciata, l’oscurità pure, all’alba uno dei tre...
Il deserto
cercavo,
non ho certo bisogno degli altri,
mi dicevo.
non ho certo bisogno degli altri,
mi dicevo.
Michael Serye
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