«Abbiamo tutto, tranne quello che conta davvero.»
Non siamo mai stati così benestanti, così protetti, così ricchi di opportunità, eppure non siamo mai stati così infelici e inconsapevoli di esserlo.
Cresciamo con un’idea di felicità falsata e avulsa dalla realtà, la felicità come una terra promessa di disneyana perfezione, lontana ed evanescente, sempre proiettata in avanti, sempre possibile ma di fatto inaccessibile. Ossessionati dall’idea di raggiungerla e condannati a vederla scivolare tra le dita, finiamo per accontentarci di una vita grigia e inconsistente, dove l’infelicità smette di essere un’eccezione per diventare normalità. Una cattiva abitudine talmente radicata da non essere percepita più come un problema, da non pensare più di doversene liberare, da arrivare persino a volerle bene.
A volte, però, accade qualcosa che di colpo rimescola le carte ‒ una malattia, un cambiamento destabilizzante, un processo di consapevolezza ‒ e la maschera crolla svelandoci nudi e privi di certezze, sospesi come funamboli sul baratro dell’esistenza. È allora che la cruda realtà sale alla coscienza: l’infelicità non è qualcosa che ci piove addosso, ma la conseguenza di una scelta ben precisa. Quella di chi ha deciso di rinunciare, di non muovere un dito per cambiare le cose, di incolpare chiunque del proprio malessere, tranne se stesso.
E all’improvviso, proprio quando i giochi sembravano ormai decisi, è di nuovo partita aperta.
Questo saggio non vuole essere un atto d’accusa contro qualcuno in particolare, ma un compendio di spunti critici intesi a mettere in discussione l’intero sistema pervasivo che determina lo stato di infelicità in cui galleggiamo, un sistema insinuante che ci ha talmente imbrigliati, assuefatti e posti in balia delle nostre stesse convinzioni da renderci incapaci di essere franchi, di dire le cose come stanno.
"La cattiva abitudine di essere infelici" non è altro che un improvviso vortice di vento che si leva dal basso e, prima di convogliarsi verso l’alto, prova a sfiorare le coscienze, senza la pretesa di volere cambiare il mondo ma solo di provare a metterlo in discussione, così che non sia più dato per scontato, che non sia più subìto, ma finalmente visto, pensato e co-creato.
Perché di tutta questa estenuante incertezza che ci è all’improvviso crollata addosso, qualcosa di prezioso può essere salvato: l’eventualità di un cambio di rotta, la possibilità di un nuovo inizio.
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