PRO-MEMORIA
di Andrea Vitali e Giancarlo Vitali
- "Pro-memoria" racconta una saga familiare attraverso una storia semplice e per questo esemplare, inserendoci annotazioni e episodi che le permettano di essere letta anche come paradigma del brusco mutamento di un modo prima e dopo la Seconda guerra mondiale.
Prefazione di Antonio Bozzo: L’odore della campagna
Ci sono i nomi, prima di tutto. E come sempre, nelle narrazioni di Andrea Vitali, fanno baluginare un mondo, così che l’onomastica diventa, aldilà dell’intreccio, il viatico per pensieri ulteriori, ricami che si aggiungono all’ordito. Lidovina, Vinci, Felicino, Perlina, Silvestro, Eribice-Bice, Arcangela, Ottaviano. Ci sono i cognomi: Sedanelli, Piedivico, Maltolti, Anzibene, Stancabassi. Anime e corpi che il sole trafigge nella Bassa, tra Cremona e Brescia. In un periodo di tempo che va dagli anni Trenta al 1974, inglobando la guerra (che resta sullo sfondo, come una delle tante occorrenze della vita, né peggio né meglio di altre) e la rinascita italiana del boom. Dall’ “aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende” alla Lambretta, e dopo. Le esistenze toccate da Vitali, che ne illumina le svolte, vivono una vita comune e speciale: come succede alle vite che si trasformano in letteratura, e lasciano il percorso collettivo per diventare esemplari. Il fragile Felicino, nato da un parto difficile, figlio del veterinario che castra i cavalli e punzona le vacche, si porterà dietro per sempre - immaginiamo, il racconto lo lascia, appunto, nel 1974 – la sua gracilità, resa ancora più inattuale (nell’Italia che cresce, lavora, cafoneggia) dalla passione per lo studio, per il lavoro senza clamori e ambizioni. Felicino si rispecchia, ma è uno specchio deformante, nel fratello o fratellastro (il padre è un altro) Silvestro, tempra forte, uomo efficiente e sbrigativo, al passo con i tempi. In questo confronto che non diventa scontro sta il bandolo del racconto.
Contributo di Leonardo Castellucci: La lieta infelicità del Felicino
Raccontare una saga familiare attraverso una storia semplice e per questo esemplare. E in questa inserirci annotazioni ed episodi che le permettano di essere letta anche come paradigma del brusco mutamento di un mondo prima e dopo la seconda Guerra Mondiale. Il mondo precedente, ormai epigono di una civiltà agricola agli sgoccioli, che nell’Italia fascista aveva ritrovato motivi di ripresa, favoriti da stimoli populisti osannanti la condizione rurale e quello seguente, portatore di nuovi ruoli, nuovi bisogni, nuove aspettative. In questi 40 anni di italiche vicende Andrea Vitali scova una storia esatta e ce la racconta con una grazia colta, con uno stile lucido e a tratti fatalisticamente intenerito; stile che sembra cambiare il proprio passo narrante fra i due periodi. Si sente chiaro, infatti, uno scatto diverso nella cifra espressiva fra le parti del testo che si svolgono ante e post conflitto: più lenta, accurata nei dettagli, con uno sguardo più interessato alla definizione dei personaggi e ai loro moti dell’animo, la prima; più affrettata, bruciante, con un linguaggio che perde l’indulgenza e l’interesse per gli attori del racconto, quasi fossero diventati anonimi riferimenti di un mondo che va disumanizzandosi, la seconda.