- Lo strapotere dei mercati e delle banche, l’incapacità di governi e parlamenti eletti di incidere in maniera significativa nelle dinamiche socioeconomiche dei singoli paesi. Un’Europa che si configura sempre di più come un “mosaico di diaspore” e una quasi ineluttabile “crisi di fiducia”. “Viviamo un’era in cui le istituzioni non credono più in se stesse e si diffonde lo scetticismo sulla capacità di agire dei governi”. L’interrogativo che sorge alla fine è inevitabilmente questo: spingere per una maggiore sovranità dei singoli Stati o lavorare per un’Europa unita e coesa? E poi cosa prenderà il sopravvento, la paura dell’altro, la difficoltà a rapportarsi tra gli individui, razzismo e xenofobia o piuttosto il riconoscimento dell’importanza anche sociale delle popolazioni migranti che vengono nel nostro continente, tra l’altro sempre più “vecchio” e la volontà di collaborare e cooperare per un interesse superiore? “Il futuro dell’Europa politica dipende dalle sorti della cultura europea. E questo a sua volta, se si considera la composizione sempre più marcatamente e irreversibilmente diasporica dell’Europa, dipende dalla nostra padronanza dell’arte di trasformare la differenziazione culturale da passiva in attiva, di vedere in essa non qualcosa da tollerare ma da esaltare, di accettarla come risorsa anziché bollarla come impedimento”…
Nel 2006 la casa editrice Laterza chiese a Zygmunt Bauman di lavorare su un’opera dedicata all’Europa. Sono passati sei anni e il famoso sociologo ha aggiornato le sue riflessioni: il risultato, come spiega la nota dell’editore all’inizio, è questo breve libriccino, denso di argomentazioni decisamente attuali. Il teorico della società liquida in poco più di 50 pagine si sofferma su alcune caratteristiche della politica attuale del Vecchio continente, a partire dalla percezione sempre più marcata che l’Unione europea sia diventata un organismo asettico, guidato da logiche meramente economiche che non portano giovamenti significativi ai singoli stati. Da lì la nascita di spinte sovraniste sempre più forti che in molti paesi si sono fatte sentire e si sono tradotte in risultati elettorali decisamente evidenti. Quello che Bauman vuole porre in rilievo è la necessità di guardare oltre i propri steccati ideologici e anche e soprattutto oltre le proprie paure. Se vuole sopravvivere l’Europa deve seguire questo percorso, basato su solidarietà, integrazione, questo il punto centrale della riflessione del teorico della società liquida. Il tema dell’immigrazione in questo senso è paradigmatico. La paura degli “altri” che arrivano nei nostri paesi, che gli “altri” ci privino delle nostre libertà personali, dei nostri privilegi acquisiti, di risorse, è di sicuro un fenomeno sempre più marcato in Europa e in tutto l’Occidente. “Gli stranieri all’interno (soprattutto quelli stabili) e gli stranieri alle porte (soprattutto quelli che ci sono molte buone ragioni per lasciar entrare) impersonano ormai saldamente il ruolo dei «soliti sospetti»”. Ma Bauman ancora una volta ci spinge a farci delle domande, a interrogarci su pulsioni e paure e a scavare rispetto a quello che i più sentono o vogliono farci sentire. Pensare alla società in modo aperto e inclusivo, collaborare, guardare oltre ancora una volta per un interesse comune e sovranazionale, secondo Bauman, può essere la risposta. Non certo, quindi, rinchiuderci nelle nostre piccole fortezze personali per tornare indietro nel tempo e nella storia, buttando via con le storture che probabilmente ci sono state nelle istituzioni anche tutte le conquiste straordinarie fatte negli ultimi decenni. “L’Europa è stata capace di apprendere l’arte di convivere. – si legge in un passaggio emblematico - In Europa più che in qualsiasi altro luogo, «l’Altro» è il vicino della porta accanto o di fronte, e gli europei, pur divisi da differenze e alterità, sono costretti, piaccia loro o no, a negoziare le condizioni di vicinato. È impossibile esagerare l’importanza di questa opportunità, e della risolutezza con cui l’Europa ha saputo coglierla. Essa è diventata una conditio sine qua non, in tempi in cui solo l’amicizia e una solidarietà energica (o, come si dice oggi, «proattiva») possono dare alla convivenza umana una struttura stabile. È alla luce di questo genere di osservazioni che noi europei dovremmo porci la domanda: quali azioni dobbiamo compiere per realizzare questa vocazione?”
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