- È inverno a Chicago. Millie cammina verso un nuovo giorno, stretta in un cappottone che la fa sudare, osservando i passanti, la metropolitana stracolma, la città che rinviene. Ha trent’anni e, come si dice, tutta la vita davanti. Montagne di aspettative e speranze che, al momento, devono fare i conti con un lavoro temporaneo da assistente receptionist, con poche amicizie di dubbio valore, con un ultimo fidanzato che è già ex e con un appartamentino in cui, sera dopo sera, si ritrova sola a fare binge watching di serie tv. Poi ci sono le solite birrette con Sarah, lamentosa e frustrata da un’esistenza molto simile, poco disposta a dar retta a nulla fuorché al suono della sua stessa voce. Millie oscilla furiosamente tra recriminazioni aspre e pigre illusioni sui mille modi per cambiare le cose. Tuttavia la «nuova Millie» non diventa mai tale, il tempo scorre troppo lento e il tedio incombe, alienante. Quando una mattina intercetta per caso una mail della sua responsabile il cui oggetto è «Millie», i suoi pensieri, come un vortice, prendono il volo: che sia uno spiraglio di luce quello che si intravede laggiú? D’un tratto, si sente vicinissima a quella vita che non ha smesso un solo istante di immaginare: una vita di vestiti piú alla moda, di cibo piú sano, forse persino di sicurezza economica. Ma ecco che subito si insinua, subdolo, il dubbio paralizzante: e se anche quel futuro lavorativo, piú roseo seppur solo immaginato, non bastasse a placare la sua inquietudine?
Dissacrante e selvaggiamente ironico, La nuova me è una discesa vertiginosa nella mente di una millennial intrappolata nella consapevolezza di una precarietà che non riguarda piú il lavoro soltanto. È il racconto di una generazione ostaggio del modello occidentale dei «generatori di profitto», giovani donne e uomini «cresciuti guardando agli altri come strumenti o ostacoli» (The New Yorker), che lottano ogni giorno con una mente troppo piena e un cuore troppo vuoto.
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