«Ero triste, di una tristezza vischiosa e pervasiva, come melassa o incenso. Soprattutto, volevo descrivermi così». A vent’anni Sara Marzullo non sapeva spiegare la sua malinconia, così se l’era tatuata addosso, si era vestita di nero e aveva letto solo poetesse per un anno. Improvvisamente la confusione e lo spaesamento della giovinezza si condensavano in un’identità, quella della sad girl. In mezzo a Sylvia Plath, Le vergini suicide e le Ragazze interrotte, scopriva di essere meno sola, ma soprattutto che le ragazze, anche quelle tristi, sono impossibili oggetti del desiderio. Oggi Sara Marzullo si interroga su cosa si nasconda dietro l’ossessione culturale verso le giovani ragazze. Dal capitale sessuale, alle pop star, all’industria della prima persona, indaga gli archetipi e gli stereotipi che modellano le ragazze e ne condizionano i comportamenti e l’educazione sentimentale e sessuale, per trarne una teoria che possa liberarle dal loro ruolo di oggetto passivo.
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