sabato 25 giugno 2022

Dopo l'infinito cosa c'è, papà?

 

Dopo l'infinito cosa c'è, papà?
Fare il padre navigando a vista
Stefano Zecchi

«Chi sei, papà?» Un bel giorno capita che un figlio di sei anni faccia questa domanda disarmante, a suo modo imbarazzante. Una domanda che, oggi soprattutto, coglie nel segno, mettendo a nudo una condizione: verrebbe la tentazione di liquidarla con quelle risposte evasive o distratte con cui spesso i grandi mascherano la loro inadeguatezza. Ma un papà come Stefano Zecchi non si sottrae così facilmente alla sfida. Ne fa invece il punto di partenza di una riflessione sincera sul suo ruolo di «giovane padre che ha un po di anni in più della media dei padri giovani» e, in generale, sulla crisi della figura paterna nella nostra società. Senza scrivere un saggio di sociologia o psicopedagogia, ma semplicemente raccontando la sua esperienza personale, il rapporto quotidiano con il figlio. L'inserimento all'asilo e a scuola, i giochi, le passeggiate alla scoperta della natura e della città, le curiosità infantili riguardo al mondo circostante, i primi confronti con la vita scandiscono così le tappe di un percorso che, dalla constatazione di una decadenza dell'immagine paterna, sempre più debole ed evanescente, conduce alla possibilità di un suo riscatto. La paternità pone l'uomo essenzialmente di fronte a un problema: quanto tempo dedicare al proprio bambino e come influire sulla sua formazione. Archiviata la tradizionale figura del pater familias, il padre-padrone che imponeva la sua autorità senza discussioni e talvolta in modo violento, il padre si trova disorientato, privo di riferimenti, e delega sempre più il suo ruolo educativo alla madre. È un fuggiasco che rifiuta le proprie responsabilità o diventa un «mammo» che vive all'ombra della figura materna, sempre più pervasiva ed efficiente, cercando di emularla e rinunciando a un¿educazione umana e sentimentale del figlio che tenga conto del punto di vista maschile. Se gli adolescenti sono insicuri e crollano al primo insuccesso, ci dice Zecchi, è perché viviamo in una società «mammizzata», in cui i giovani apprendono dalla madre a rifugiarsi nell'interiorità e in una dimensione consolatoria. Il padre, invece, apre il figlio al mondo, gli trasmette conoscenza ed esperienza, senza nascondergli i propri limiti e le proprie fragilità. Lealtà, coraggio, tolleranza, fedeltà: il padre è la storia. Senza storia non si hanno radici, non si può costruire quell'alleanza tra padre, madre e figlio che si chiama famiglia.

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