GIUDITTA
di Mario Brelich
- Mario Brelich è stato uno scrittore del tutto anomalo nel paesaggio letterario italiano: e non solo perché l’intera sua opera narrativa è dedicata a figure ed episodi delle Sacre Scritture, ma anche (o forse soprattutto) perché ognuno dei «capitoli» di quest’opera ci appare come un oggetto tanto più malioso quanto più difficile da etichettare. Ben lo sanno i lettori che ricordano lo stupore e la delizia suscitati in loro dal primo dei suoi «saggi romanzati»: Il sacro amplesso. Questa volta Brelich si misura con Giuditta – l’unica fra tutte le eroine dell’antichità ad «affidare la salvezza della sua città, del suo popolo e l’avvenire del suo Dio esclusivamente alla propria bellezza» – e ne ripercorre la vicenda con la consueta, affabile scioltezza, indagandola con gli strumenti più vari (non ultimo la psicoanalisi). E poiché ha la scienza del teologo e la grazia del narratore, riesce a farci penetrare nel mistero di questa seducente eroina-avventuriera, in quel miscuglio di castità austera e irresistibile sex-appeal che non a caso ha ispirato alcuni fra i più grandi degli «antichi maestri». Con la sua ironica saggezza (e con quella che è stata definita «la disinvolta sfrontatezza» del suo percorso interpretativo), Brelich ci trascina da una digressione a una riflessione, da una interrogazione a una ipotesi – e sempre chiamando in causa il nostro giudizio, la nostra immaginazione, il nostro fiuto investigativo, quasi ci chiedesse di prendere parte attiva alla narrazione come si fa con i bambini a cui si racconta una fiaba. Riesce così a mettere in luce, dei testi sacri (consumati e come spolpati dalle esegesi), qualcosa che tutti sembrano aver trascurato, e a svelarci, in definitiva, aspetti paradossali, o tragici, o talvolta perfino comici, di quelle che usiamo chiamare «le insondabili vie del Signore».
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