- Nel primo racconto il protagonista è il mare. Con il pretesto di soddisfare una morbosa curiosità circa alcune vecchie cartoline ritrovate, Russo ci descrive personaggi e storie che ruotano intorno al mare e dal mare prendono forza e vigore.
Mi è capitato più volte di lavorare e vivere in una città lontana dal mare. Mi prendeva sempre una irrequietezza, un’ansia, di cui non sapevo all’inizio spiegarmi il motivo. Erano città bellissime, anche mete turistiche importanti, ma la circostanza che avessi piena consapevolezza che da nessun vicolo, da nessuna piazza, da nessuna svolta sarebbe apparsa la vista del mare, il suo inconfondibile odore ed il suo scrusciu, mi causavano quell’inquietudine.
Così ai personaggi di questo racconto, quando la vista del mare viene forzatamente sottratta, si spegne la voglia di vivere. L’arma del delitto non avvelena, non detona e non ferisce, ma nasconde ed è già sufficiente per compierlo il primo delitto.
Nel secondo racconto Russo prova a trasferire alle pendici dell’Etna le appassionanti avventure del teologo Robert Langdon di Dan Brown, che qui riveste le più modeste vesti di bancario, il direttore Alberto Bevilacqua, (si proprio come l’autore di Gialloparma), ma che con la sua passione per la teologia offre la chiave di interpretazione per individuare il serial painter che mette inutilmente in angoscia l’ispettore Traversa ed il suo commissario. L’arma di questo delitto è un’arma spuntata, inefficace, innocua. E’ il movente ad essere appuntito, efficace, pericoloso. Il risentimento. La rabbia che viene al siciliano nel vedere lo scempio e l’abuso che viene fatta della sua Sicilia. Di questo secondo delitto siamo tutti in qualche modo complici e favoreggiatori.
Nel terzo racconto sono stato sopraffatto dai numerosi echi che vi si rincorrevano. Ho rivisto Noodles che torna richiamato dai suoi fantasmi in una New York corrotta definitivamente fino al vertice (C’era una volta in America), che qui è una Catania ostaggio di nuovi scriteriati delinquenti. Ho rivisto Alberto Sordi, strappato alla sua nuova vita estera, riportato in Sicilia per consumare la sua vendetta (Il Mafioso di Lattuada). Ma soprattutto ho rivisto le tante donne uccise dal braccio familiare, amico, fidato, nella giovane Annalisa trucidata dal padre. In questo racconto il delitto più efferato è stato compiuto già da tanto troppo tempo, che nessun altro delitto avrebbe più senso. Toccato il fondo non resta che risalire. Così arma e movente spariscono dinanzi all’orrore e non resta che la fuga, l’abbandono, il ritorno al nascondiglio estero. La cieca violenza ha ucciso il mare, la bellezza, a che serve restare?
Nel quarto racconto Rosario Russo paga il suo tributo al Maestro Camilleri, affidando al nostro ormai amico ispettore Traversa, la risoluzione di un caso vecchio, di un omicidio plurimo nelle vittime e nei colpevoli, che si intreccia al mito fondativo della sua Acireale. Come nel Cane di terracotta, una grotta restituisce giustizia e memoria ad un amore offeso da un malinteso senso dell’onore, anche se cinquanta anni dopo. Il movente è superato, l’arma del delitto ormai si è inceppata, l’amore puro e inesauribile di due giovani amanti sopravvive, la violenza non riesce ad avere il sopravvento sulla memoria e sulla giustizia. Anche se forse questo lieto fine è solo un sogno…
Nel quinto racconto Russo abbandona il veneto trapiantato riluttante in Sicilia, l’ispettore Traversa, per raccontarci della cecità di un nuovo investigatore il commissario Stuto. In una Sicilia contesa tra sovranisti e buonisti, l’avvelenamento di una studentessa, sfugge completamente al controllo del commissario, che accecato dal suo amore in senso lato “paterno” non si accorge in tempo dello sfondapiedi che gli hanno tirato, e così cade nello scangio che il suo stesso sangue gli appara. Ma anche lui si salva perché il folle omicida non aveva saputo vedere con occhi di verità lo scangio che intorno a lui si verificava. Molte armi del delitto vorticano in questo racconto. Ma tutte si estrinsecano nell’avvelenamento di un corpo, di un amore, delle relazioni. Le finzioni, i nascondimenti, i fraintendimenti, nonché il cieco amore, avvelenano (più del tallio) ogni cosa e rendono questa Sicilia soffocante.
L’ultimo racconto riporta in azione il continentale contrariato ispettore Traversa. Una apparente morte naturale, dovuta ad una sarpa, si svela un efferato delitto, culturale e concreto.
Gli intellettuali siciliani hanno affrontato spesso con veemenza, ma con geniale creatività, il loro dibattito sulla Sicilia. Odii profondi su basi filosofiche e culturali hanno contrapposto le migliori menti isolane nel tempo.
In questo racconto insigni studiosi di tradizioni legate al mare, per bramosia di successo, per avidità di consenso prima che di censo, portano alle estreme conseguenze il loro dissidio interno. Il peggior movente, la vanità intellettuale, che uccide attraverso la sua stessa ricchezza, con il mare e con i suoi pesci, per affermarsi oltre ogni ostacolo.
Potremmo definirlo la banalità del mare.
n questi sei racconti di genere, Rosario Russo usa tutte le lame e tutti gli utensili nascosti nel suo personalissimo Victorinox per offrire al nostro amore la sua, la nostra, Sicilia, che ad ogni violenza, ad ogni efferatezza, ad ogni subdolo inganno, ad ogni effetto collaterale o indesiderato sa opporre la sua straordinaria bellezza, la sua cultura, la sua storia, il suo mare…
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